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Una battaglia per la libertá senza eguali

Trascorse la maggior parte della sua prigionia di otto anni nel carcere di via Conti a Budapest. A causa della sua salute precaria, gli ultimi due anni li trascorse agli arresti domiciliari rigorosi per qualche tempo a Püspökszentlászló (nei monti Mecsek) e poi a Felsőpetény (nei monti Börzsöny).  Fu lì che apprese la notizia della rivoluzione del 1956, grazie alla quale fu liberato il 30 ottobre.

Alle otto di sera il 3 novembre indirizzò alla nazione un discorso radiofonico da uno studio provvisorio sistemato all'interno dell'edificio del Parlamento, invece che dalla sede della Radio ungherese, teatro degli scontri.

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Mindszenty József a Parlamentben

 

«Si è trattato di una battaglia per la conquista della libertà che non ha eguali, con la giovane generazione alla testa dei combattenti, di una battaglia intrapresa perché la nazione vuole decidere liberamente della propria vita, disporre liberamente del proprio destino, amministrare liberamente il proprio Stato, utilizzare liberamente i frutti del proprio lavoro. Abbiamo bisogno di nuove elezioni pulite, cui possano prendere parte tutti i partiti e da effettuarsi sotto controllo internazionale. Per quanto riguarda la mia persona, io sto al di fuori e in forza del mio ufficio sto al di sopra dei partiti. Da questo mio ufficio invito tutti gli ungheresi a non permettere che, dopo la meravigliosa unità dei giorni di ottobre, sorgano nuovi dissensi di partito e una nuova disunione. Oggi il paese ha bisogno di molte cose, ma ha anche bisogno di un numero di partiti e di capiparte, che sia il minimo possibile.  La stessa politica oggi è secondaria; dobbiamo preoccuparci dell'esistenza della nazione e del pane quotidiano.» VIDEO >>

All'alba del 4 novembre il cardinale fu convocato al Parlamento e stava lì quando l'offensiva sovietica raggiunse la capitale.  Mindszenty e il suo segretario, Egon Turchányi, si recarono all'ambasciata degli Stati Uniti situata nella vicina piazza Szabadság, e lì ottennero il diritto d'asilo. Così cominciò la sua semiprigionia che durò quindici anni. Il cardinale pensava che il suo soggiorno presso l'ambasciata degli Stati Uniti sarebbe stato temporaneo. Era sicuro che il mondo civilizzato non avrebbe abbandonato l'Ungheria. I suoi appunti, più tardi pubblicati sotto il titolo Napi jegyzetek (Appunti quotidiani), riflettono fedelmente la sua attività presso l'ambasciata.

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